CHI PUO' MISURARE LA FEDE?
16 Novembre 2024 // di don Egidio Todeschini
Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà ancora la fede sulla terra?” (Lc 18,8).
Ma chi può misurare la fede? Solo la presunzione di un filosofo come Friedrich Nietzsche può dichiarare con sicurezza che “Dio è morto”. Però molti oggi sono convinti che la fede non abbia più senso e ne dimostrano la scomparsa o almeno la forte crisi. La prova starebbe nelle statistiche dove si pretende di misurare la fede con le pratiche religiose: quante persone frequentano la messa domenicale, quanti matrimoni religiosi, quanti fanno battezzare i propri figli. Si fa inoltre notare che, tra i praticanti, pochi sono i giovani, pochi gli intellettuali, molti gli anziani, soprattutto donne.
A confermare tale convinzione c’è la drastica diminuzione di sacerdoti un po’ ovunque, che costringe a rivedere il servizio pastorale: parrocchie senza parroco, accorpate tra loro con un solo sacerdote, costretto a correre qua e là per messe e funerali, ridotto quasi a funzionario. Ci si chiede quanto potrà durare ancora un servizio reso in queste condizioni. È un dato di fatto che la pratica religiosa è diminuita, resistono le feste di religiosità popolare, alcuni pellegrinaggi, la recita del rosario in privato o seguendo trasmissioni televisive.
Ma la fede si deve davvero misurare in questo modo? Non ha detto Gesù che “non chi dice Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli ma chi fa la volontà del Padre” (Mt 7,21)? Le pratiche sono dei mezzi, buoni e certamente necessari, ma sintonizzati sui tempi e sulle culture, quindi variabili nelle forme. La vera fede si misura sulla fedeltà ai valori del Vangelo, praticati e insegnati da Gesù stesso come l’amore a Dio e al prossimo, il servizio e la condivisione, il perdono, la misericordia. Valori che non sono facilmente misurabili, né quantificabili in statistiche e percentuali, ma ben visibili ed evidenti nell’onestà, la non violenza, la giustizia e la pace, concretamente vissuti da una persona nelle condizioni della propria vita.
Predicare il regno di Dio, fare la volontà del Padre sono espressioni che invitano ad assumere lo stile di vita di Gesù, compiendo le sue stesse opere, aiutando i più bisognosi, incoraggiando, perdonando, diffondendo amore, carità, pietà e misericordia. “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mt 22,38).
In aiuto a vivere i valori del Vangelo anche Gesù aveva le sue pratiche religiose: si ritirava a pregare in solitudine, frequentava la sinagoga, dove si leggeva la Scrittura, tutto con grande libertà, sapendo che la fede è nelle opere e negli atteggiamenti interiori, nei sentimenti profondi del cuore.
Le pratiche religiose esteriori, nelle loro espressioni e forme, rispecchiano esigenze relative alla cultura dei tempi e dei luoghi, adattabili alle condizioni sociali, alla preparazione intellettuale, alla maturità umana. Perciò possono variare, pur riconoscendone la sostanziale necessità. Non bisogna certamente trascurare le pratiche esteriori perché, se fatte bene, aiutano quelle interiori e ricordano alla persona, che agisce sempre per mezzo dei sensi, ciò che sta facendo o ciò che deve fare.
“Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5,16).