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Troppo inglese nella lingua italiana

TROPPO INGLESE NELLA LINGUA ITALIANA
Sempre più spesso i giornalisti usano parole straniere anche senza necessità e senza spiegarle. Forse convinti che tutti le conoscano

13 Maggio 2020

Lockdown, smart working, stalking, welfare, mobbing, promoter, buyer, flash mob… A leggere i quotidiani o ascoltando la televisione a volte vien da chiedersi: non è un’insensatezza, questa, forse dettata da scarsa conoscenza della storia e della nostra cultura nazionale? Le vicende della Penisola raccontano di invasioni e sovranità di molti popoli: greci, tedeschi, spagnoli, francesi, austriaci. Mai di inglesi, presenti solo durante qualche conflitto. Non a caso ne è conseguito che, nei dialetti di alcune città, province e regioni, ci sono molte parole provenienti dalle lingue di chi vi ha, secoli fa, governato. Gli Italiani che conoscono altri Paesi si saranno certamente accorti della presenza di termini di origine spagnola, francese e greca in Puglia, Campania e Sicilia; tedesca in Lombardia, Friuli ed Alto Adige; aragonese ed asburgica in Sardegna.

H. Auden, poeta inglese, morto nel 1973, scrisse che, “se una lingua si corrompe, la gente perde fiducia in quel che sente” o legge. Motivo per cui molti si augurano di avere una lingua unica in tutti i Paesi. Il che fa dire al direttore generale dell’Associazione Bancaria, Sabatini, che “l’inglese è quella che sarebbe preferibile”. Per il giornalista del Corriere della Sera, Peter Scheider, l’inglese è il “novello latino”, convinto che servono le “lingue madri per creare e l’inglese per comunicare”. Certo i due signori citati ammettono che è una lingua non facile ma ritengono valida la proposta. Il che però comporta tempo per impararla, rendendone quindi illogico per il momento l’uso sui giornali o alla televisione, pena non comprendere quanto letto o sentito.

Una mia conoscente mi ha fatto sapere che, su Il Giornale del 7 maggio, c’era un articolo, firmato da Cristina Bassi, in cui si legge che a Milano alcune persone erano sedute all’aperto davanti ad un bar, tutte con mascherine e a distanze giuste, ma sono state multate. La giornalista definisce il fatto “flash mob”, forse pensando, a torto, che tutti fossero in grado di capirne il significato. Come infatti hanno rilevato alcuni lettori di altri quotidiani, tra i quali il Corriere della Sera, Libero e La Repubblica. A ciò si aggiunge l’irritazione di chi non conosce l’inglese e le polemiche perché sta “entrando prepotentemente nella lingua italiana parlata”. C’è chi pensa che “l’inglese possa essere lingua internazionale, quindi parlata in tutto il mondo, l’italiano quella nazionale”. Ottima idea che, comunque, necessita di tempo per essere appresa.

Questo non impedisce a molti giornalisti di scrivere molte parole in inglese. La Scuola Superiore di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori dell’Università Di Bologna, ha fatto uno studio: dal 1985 al 2000, negli articoli del quotidiano La Repubblica, se ne trovano, circa 380 milioni. Meno, ma sempre molte, nel quotidiano l’Avvenire dove, dal 2001 al 2004, ce ne sono “più o meno, 75 milioni”. Numeri esorbitanti, reperibili in tutti i quotidiani nazionali. Con reazioni opposte, favorevoli o contrarie per motivi differenti, tra le quali prevale l’amore per il nostro modo idioma bello e già ricchissimo di parole di origini diverse, derivanti da secoli di storia.

Questo non impedisce l’uso e l’abuso di parole inglesi nel nostro linguaggio parlato e scritto. Basta pensare a politici e giornalisti che, per farne conoscere le decisioni, scrivono tax, jobs act, spending review. Inutili anglicismi usati anche nel linguaggio istituzionale (welfare, privacy, premier) e giuridico (mobbing, stalking), in quello del mondo del lavoro (promoter, sales, manager e buyer), della formazione di master e di tutor, nonché delle offerte promozionali. Ne consegue la fine del “purismo”, cioè della correttezza della nostra bella lingua, perdita che può comportarne il suo divenire un dialetto d’Europa. Certo, alcuni anglicismi sono stati abbandonati, ma ne usiamo ancora molti, troppi. A dispetto di chi ama e conosce solo l’italiano.

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