Il regalo più importante
30 Giugno 2022 // di don Egidio Todeschini
Sono ancora numerosi i genitori che pur in questi tempi di confusione domandano il Battesimo per i loro figli, perché consapevoli di fare loro il regalo più grande e di consegnare loro il dono della vita divina. Immergendoli nel mistero di Cristo risorto e inserendoli nella Chiesa ma anche assumendosi l’impegno di accompagnarli nella crescita e maturazione della fede con la convinzione di avviarli verso una vita “bella”, nello spirito del Vangelo, codice di vera e perfetta umanità.
Allo stesso tempo però si diffondono anche scelte diverse, come quella di non offrire ai figli alcun riferimento religioso per lasciare la “libertà di scelta in età più avanzata”. Come se, non indicando nessuna strada e non mettendo alcuna segnaletica, si favorisse una scelta più rispettosa della loro vita futura. Ma così si lasciano i figli nella incertezza e nella confusione in ordine alla domanda religiosa, che pur si affaccia nel cammino della vita. Inoltre si fa strada, anche tra i cristiani, una indifferenza che trascura il fatto religioso che invece è parte essenziale in ordine agli interrogativi che la vita ci pone. Lasciando in tal modo i figli sprovvisti di un buon vocabolario per leggere e interpretare la vita. Spesso poi i frutti amari di una non-scelta non tarderanno a maturare, soprattutto nel tempo dell’adolescenza, là dove il terreno non è stato seminato e coltivato con valori alti che aiutano in scelte positive, ma è rimasto arido o incolto o seminato solo con fragili sementi.
A volte si impara a riconoscere l’importanza e la bellezza della fede da coloro che, vivendo in tempi duri e dolorosi, ne apprezzano meglio il valore. Per questo aggiungo una bella testimonianza che viene dall’Albania, dove recentemente sono stato in visita con un gruppo e dove abbiamo appreso la storia di Arjan Dodaj, arrivato in Italia a dodici anni nel 1993 su un barcone ed oggi arcivescovo di Tirana-Durazzo. In Italia, con il lavoro di saldatore, ha trovato anche la fede, della quale, nonostante l’educazione all’ateismo, aveva conservato tracce grazie alle canzoni sussurrategli dalla nonna.
In Albania il 2 gennaio scorso, all’età di 92 anni, è morta suor Marije Kaleda, la quale, al tempo della dittatura, battezzava i bambini di nascosto. Il regime comunista di Enver Hoxha, al potere dal 1940 al 1992, ha perseguitato e ucciso i cattolici e ha distrutto sistematicamente le chiese con l’obiettivo di imporre uno Stato laico, come è avvenuto in altri Paesi sottoposti all’ideologia comunista, come l’Unione Sovietica, i Paesi dell’Est europeo, la Cina, la Corea del Nord, Cuba, Cambogia e Vietnam tra gli altri. Nonostante la persecuzione, suor Marije ogni giorno portava clandestinamente la Comunione a malati e moribondi, rischiando la vita in nome della fede. Lei stessa ha riferito che battezzava i bambini di nascosto, su richiesta di coraggiosi genitori. Un giorno la religiosa è stata fermata per strada da una donna con una bambina in braccio. Era la moglie di un dirigente comunista. La suora in seguito ha raccontato: “Mi ha chiesto di battezzare la sua figlioletta. Ho risposto che non avevo niente per battezzare, perché eravamo per strada, ma lei ha dimostrato tanta volontà da indicarmi che lì vicino c’era un canale. Ho detto che non avevo nulla per prendere l’acqua, ma ha tanto insistito per battezzare quella bambina che, vedendo la sua fede, mi sono tolta le scarpe, ho preso un po’ d’acqua e ho battezzata la sua figlioletta”.
Marije era entrata ancora giovane nel convento delle Stimmatine. Erano gli anni Quaranta e dovette attendere quasi cinquant’anni per emettere i voti religiosi perpetui nel 1991, perché il Governo aveva chiuso i conventi e costretto le suore a tornare a casa. Ma, con la complicità di alcuni sacerdoti, era riuscita a tenere in casa il Santissimo Sacramento che portava a malati e moribondi. “Quando mi guardo indietro, sembra incredibile che siamo riusciti a sopportare tante sofferenze terribili. Ma per la fede ne è valsa la pena. Dio ci ha dato forza, pazienza e speranza”.
Non sarebbe bello – mi chiedo – se imparassimo anche noi ad apprezzare quanto ci è stato consegnato dai nostri genitori prima di accantonarlo con superficialità o abbandonarlo senza una approfondita conoscenza?